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Nella lettera qui riportata la nostra socia, dottoressa Emanuela Atzori risponde alle riflessioni e alle domande di un'insegnante, nate dopo il Webinar - "Studio e apprendimento" del 10 aprile 2021

Gentile professoressa,
La ringrazio per averci scritto e per aver proposto a MAGMA alcune importanti riflessioni a seguito del webinar del 10 aprile in cui abbiamo parlato di studio e apprendimento.
Nel lungo messaggio che mi ha indirizzato mi ha posto una domanda importantissima: “La dottoressa Atzori ha parlato di un probabile ‘limite' interno che ci fa poi percepire gli studenti come limitati…Ma come se ne esce? (…) questo mi spaventa perché non vorrei essere un freno, un danno per loro. (…) Mentre sono abbastanza certa dell'interesse /affetto che provo per i miei studenti, sono altrettanto consapevole di vivere con rabbia e giudizio la loro passività. Il discorso ricerca per gli insegnanti mi trova come fortissima sostenitrice, (…) ma mi sento molto sola nel mio ambiente, anche un po' rifiutata. Lo sportello di ascolto dentro il mio Istituto a cui mi sono rivolta considera le mie aspirazioni un po' troppo idealistiche.”

Il coinvolgimento con il quale scrive dei suoi studenti e dell’ambiente umano povero e non rispondente nel quale si trova ad esercitare la sua preziosa professione disvela, a mio avviso, in modo evidente quanto lei non sia tra coloro che distinguono gli alunni in “umani" e “subumani", oppure tra menti “nate brillanti” e menti “nate deboli”, limitate cioè per loro natura nelle loro possibilità di sviluppo. Ed il fatto che abbia deciso di sostenere e sviluppare una discussione su questi argomenti attraverso la nostra rubrica ne è ulteriore riprova. L’insegnante che ama la ricerca rende sempre partecipi i suoi alunni di questa sua attività di rapporto nei confronti del mondo, a volte senza neanche rendersene conto. Contemporaneamente, gli alunni studiano gli adulti con cui fanno il rapporto prima di studiare le materie, ne cercano i punti di forza e le fragilità, sono essi stessi a volte dei giudici caustici ed impietosi della realtà umana con cui si confrontano quotidianamente. Alcuni alunni arrivano a scuola con vincoli interni inconsci, già formatisi nel rapporto con genitori a loro volta condizionati dalla storia di rapporti in cui sono cresciuti, e allora possono essere giudici impietosi di loro stessi. “L'epitaffio” interno che porta alcuni studenti a credere di non essere capaci o portati per lo studio è già stato imposto nella loro mente nei primi anni di vita in cui non c’è la scuola ma ci sono i genitori, ignoranti oppure colti e comunque mediocri, deprivati cioè di una capacità di pensiero di tipo creativo e anaffettivi, incapaci in diversa misura di rispondere con un investimento di interesse profondo alle esigenze di rapporto dei loro piccoli esseri umani in evoluzione. La sfida per una insegnante come lei in questi casi è difficilissima. I ragazzi possono mettere a dura prova il docente che propone un amore “della conoscenza per la conoscenza” come una dimensione naturale per ogni essere umano. Possono infatti proporsi al rapporto con la speranza che l’insegnante abbia ragione, ma anche con il terrore che l’insegnante sia solo un romantico visionario. Il desiderio di lasciarsi andare ad un rapporto caldo e rispondente per pensare di poter essere ciò che di valido l’insegnante vede può essere avvelenato dalla paura dell'errore (invece così naturale e importante per lo sviluppo di ogni essere umano), dalla paura del fallimento e quindi del giudizio proprio e altrui e dell’ennesimo abbandono. Un essere umano che si trova a vivere queste tempeste emotive interne sostenute dal terrore di essere abbandonato, reagisce cercando di rendersi attivo nel determinare una soluzione che dà già per scontata e dunque abbandona prima di essere abbandonato. La paura interna e profonda di non potercela fare per un falso giudizio imposto su stessi nel passato da parte di chi avrebbe dovuto invece dare fiducia nelle proprie possibilità, e in conseguenza di perdere il nuovo oggetto di amore (cioè il docente che investe sull'alunno, che pretende, che ama) diventa un “ Non mi interessa, non voglio, me ne vado". Come se ne esce? Come può un insegnante valido vincere questa “partita a scacchi con la morte" per usare la metafora proposte dal film di Bergman? Ritengo senza alcuna incertezza che sia necessaria per ogni insegnante, a prescindere dalla disciplina che diligentemente è in grado di insegnare, una conoscenza profonda della realtà umana, della fisiologia del suo sviluppo e di quelle dinamiche di rapporto interumano che ne possono sostenere il naturale decorso, oppure lo possono impedire.

È necessaria dunque una specifica formazione in tal senso, riconosciuta e garantita per ogni docente, che certamente non può in alcun modo essere lasciato da solo nello svolgimento di un compito così nevralgico per la costruzione di ogni agglomerato sociale. Quel compito cioè per cui, al di là della specifica disciplina d’insegnamento, ciascun docente è chiamato a contribuire allo sviluppo della realtà mentale e umana degli esseri umani che formano una comunità, in modo tale che quest’ultima possa essere da loro stessi continuamente arricchita e rinnovata.

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